lunedì 29 agosto 2016

M.

"Mangi troppo velocemente, ti fa male."
"Ho vent'anni, non ne ho tre."

Riprendo a mangiare fissando il tavolo, dietro di me un mare di gente si muove caotico come in ogni altra stazione.

"Sai che c'è, è proprio un idea del cazzo."
"Zitto, non dire cazzate, e poi ormai è tardi per tirarsi indietro."

Ci alziamo, il tabellone dei treni in arrivo si è appena aggiornato.
Non so bene cosa fare, non sembro controllare più lo sguardo, poso gli occhi su qualsiasi cosa sia vicina a me e sospiro.
Mi prende la mano, mi muovo.

"Non farla aspettare."
"Io ho aspettato tanto."
"Lo sai che non è colpa sua."

Sento il cuore battermi nel petto con potenza, nella testa penso a tutto quello che potrebbe succedere. Mi si annebbia la vista: il sangue mi scorre troppo velocemente nella testa, mi sento debole.

Arrivo al binario ma il treno non è ancora arrivato. Lei mi conforta:

"Dai, mancano dieci minuti, non sei felice?"

Felice... Penso a quella parola, mi vaga nella mente e mi domando se quel mix assurdo di emozioni e paure che ho dentro sia felicità. Voglio smettere di pensarci, non mi porterebbe da nessuna parte e ho già abbastanza pensieri nella testa.
Guardo l'orologio muovere solennemente le lancette dei secondi. Gira solo in un senso, non torna indietro, e neanche io.

"Vedrai che faccia che farà quando ti riconoscerà."
"O magari non lo farà."
"Ti riconoscerebbbe in mezzo a mille."

"Chissà se mi somiglia, se cammina come me, se ha qualche accento strano o qualche capello grigio." Pensai.

Mancano tre minuti e sorge in me il dramma: cosa dovrei dire? Quale parola avrà l'onore di sverginare il silenzio carico di sentimento tra noi?
Mani deboli, sento tremarle nonostante non le stia muovendo; muovo il piede e mi mordo il labbro sempre più insistentemente...

"Qualsiasi cosa succederà, io sarò qui." Mi sussurra all'orecchio mentre mi abbraccia.

La guardo, dolce come è.
Sorrido e infilo la mia mano tra la sua.
In quel momento, il treno entra in stazione e si ferma.

Mi alzo, ci guardiamo negli occhi.

Si aprono le porte: mille persone scendono e vanno dirette verso l'uscita.
Li scruto, li osservo in cerca di un dettaglio.
Arriva, è lì. Si incrocia lo sguardo e si muove verso di me. Stringo forte la mano che comincia forse a sudare.

Siamo di fronte, ci separa forse un metro quando si ferma. La gente ci passa intorno ma io non sento nessun rumore, solo un fischio continuo.

"Sei diventato grande."

Mi sussurra mentre facendo un passo in avanti si abbraccia a me.
Allungo le braccia tremanti.

"Mamma."